di Edoardo Conte
La nostra persona è composta da tre Corpi, che in sanscrito si chiamano "Deva". Il corpo Mentale, l’Emotivo detto anche Astrale, e l’Eterico-fisico. In realtà il corpo fisico o di apparenza è un mero riflesso del corpo Eterico, vero conduttore dell’energia vitale. Senza l’Eterico il corpo fisico non è attivo.
Questi Deva sono entità con un loro proprio carattere, qualità e difetti, una memoria antica e un’attività ripetitiva che spesso manifestano come risposta automatica. Sono i veicoli per mezzo dei quali noi, Coscienza, ci muoviamo, pensiamo, proviamo sentimenti ed emozioni. A dire il vero, sono i Deva che danno forma al pensiero, alle emozioni e alle azioni con la loro attività che, tuttavia, abbiamo il compito di programmare, addestrandoli alle nostre necessità evolutive. Senza di loro non è possibile rapportarci con le altre Coscienze. È per questo che ci incarniamo, poiché evolviamo solo mediante un’incarnazione che ci consente di sperimentare le forme della materia attraverso i nostri Deva.
Essi rispondono alla qualità della sostanza di cui sono formati. Sostanza che è impregnata da “umori” antichi spesso in contrasto con il compito evolutivo della Coscienza, poiché ha ricevuto un imprinting diverso durante la precedente incarnazione del Sistema Solare. Senza addentrarci in questo tema, accettandolo come dato di fatto, procediamo nel conoscerli meglio.
Questi nostri veicoli si comportano, in definitiva, in modo molto simile ad animali selvatici che devono essere addomesticati e addestrati. È di aiuto pensare alla Coscienza come a un Cavaliere che per spostarsi ha bisogno di montare a cavallo. Deve, per prima cosa catturare un cavallo selvaggio (il Deva) bello e possente, poi domarlo e, quindi, addestrarlo ad essere guidato, affinché lo porti per ogni dove a compiere le gesta eroiche per le quali lui, il Cavaliere, è stato “ordinato”. In questo caso i cavalli sono tre, uno per ogni Deva. Il corpo Emotivo è senz’altro il più difficile da domare. Allo stesso modo del cavallo selvaggio, mal sopporta di essere imbrigliato ed avverte istintivamente quando il cavaliere cerca di sellarlo, scalciando in malo modo. Ecco perché quando ci apprestiamo a sottoporre i nostri Deva a una disciplina che li educhi, si ribellano immediatamente. Una volta che il Deva-Cavallo ha accettato di portarci in groppa, dobbiamo addestrarlo a rispondere ai nostri comandi per guidarlo nella direzione voluta; altrimenti ci porterà a spasso dove lui vorrà.
Il sistema migliore per addomesticarlo è quello di somministrargli una ricompensa quando esegue i comandi e una punizione quando li rifiuta. In altri termini, dobbiamo usare il bastone e la carota. È, tuttavia, indispensabile che manteniamo un’uniformità di azione, oltre che di intento, ossia, che attuiamo una disciplina e un addestramento costante, in modo che la ripetizione reiterata di comandi appropriati stabilisca una cadenza e un ritmo.
Ci dobbiamo astenere dal cambiare metodo e strumenti, pena la perdita del ritmo e della disciplina. Se, ad esempio, decidiamo di sostituire l’oggetto della ricompensa, in questo caso la carota, con un biscotto, o mutiamo il comando, pronunciando parole diverse da quelle fino allora utilizzate, il Deva-Cavallo andrà in confusione. La carota è lo strumento o tecnica di persuasione che applichiamo per addestrarlo, e il comando è l'atto attraverso il quale deve eseguire l'ordine impartito. Cambiandoli entrambe, non riconoscerà più il da farsi. Il Deva-Cavallo è estremamente abitudinario ed impara solo per stratificazione di stimoli uguali e costanti nel tempo. È, dunque, buona norma, applicare una sola tecnica e un sol metodo per ottenere il miglior risultato. In questo modo avremo il dominio sui nostri Deva. Essi risponderanno prontamente alle nostre richieste e collaboreranno con abnegazione, sfoggiando le qualità migliori per aiutarci ad attuare il Proposito Divino.