di Daniele Novara
Il problema sono i ragazzi. C’è un’intera generazione, gli adolescenti, i giovani di oggi e penso anche ai trentenni, che non hanno mai conosciuto un mondo diverso da questo.
Per loro è tutto ovvio, scontato, normale: la letteratura, se va bene, è Fabio Volo; la politica è la ex consigliera regionale lombarda Nicole Minetti; la musica classica è Giovanni Allevi, la Tv è il Grande fratello, i reality e la De Filippi, il tutto mescolato in una poltiglia melmosissima dove la confusione è totale. In cui ogni cosa è leggera, superficiale. Perché, se anche Berlusconi ha chiuso, sembra definitivamente, la sua carriera politica, il berlusconismo invece imperversa e come un vero e proprio tsunami manipolatorio bombarda incessantemente menti e psiche.
Io credo che l’ideologia alla base del berlusconismo si racchiuda in un unico concetto: superficialità.
È dagli anni Ottanta che questo tema ci viene propinato meticolosamente e in forme sempre nuove: dagli yuppies alla Tv commerciale; dal craxismo con al sua “Milano da bere” alle ciccioline in Parlamento; da una certa cultura filosofica che, stanca delle pesanti ideologie che nel corso di un secolo avevano prodotto più mostruosità che pensieri illuminati, ha assunto la leggerezza superficiale a icona; alla letteratura che oggi, con critici neanche tanto prezzolati, improvvisamente incensa Federico Moccia e il suo Tre metri sopra il cielo.
Per non parlare poi della politica: guardiamo estraniati al nuovo governo, abituati come siamo a politici che fanno a gara a presentarsi come più superficiali, ignoranti, banali, e anche antropologicamente inferiori ai propri elettori. D’altra parte i parlamentari italiani sono spesso personaggi televisivi e di spettacolo, ed ex show-girlsedevano come Ministri della Repubblica.
I nostri ragazzi e le nostre ragazze, che oggi si ritrovano senza lavoro e magari anche senza un titolo di studio (i giovani, dai 15 ai 29 anni, disoccupati sono 2,2 milioni secondo i dati della Banca d’Italia al novembre 2011) sono nati e cresciuti in questo mondo. Non ne hanno conosciuto un altro come noi quarantenni e cinquantenni. Hanno vissuto in una cultura dell’usa e getta, dove l’onestà è una remora, e la strada della ricchezza, ammesso che oggi la si riesca a imboccare, va percorsa a passi svelti, senza patemi etici o sociali. Un mondo in cui il fine giustifica sempre i mezzi; nel quale la furbizia, parente prossima del parassitismo mafioso, domina sovrana; in cui la creatività non trova spazio né stimoli.
Avremo chiuso i conti con Berlusconi solo quando questo sarà puro folklore e non dominio culturale.
Dobbiamo recuperare il senso della profondità: delle esperienze, della vita, del pensiero, del confronto e dell’incontro reciproco. Solo la profondità potrà salvare il nostro mondo, messo in pericolo da una dissipazione nell’ordine del superfluo che minaccia l’ambiente, le relazioni, la continuità genealogica. Lo ribadisco: è fondamentale sdoganare un progetto educativo che restituisca al mondo adulto la consapevolezza di quanto la crescita dei bambini, dei ragazzi, dei giovani, dipenda dalle nostre decisioni e dalle nostre scelte.
Mi indigna, ad esempio, osservare le riviste femminili gongolare per la tenuta del consumismo infantile che permette tanta raccolta pubblicitaria e anche tanto tiranneggiamento dei poveri genitori italici, attorcigliati nei loro sensi di colpa. Ricordiamocelo: ogni assenza, ogni vuoto, viene colmato da messaggi per nulla subliminali, basati sul conformismo e la superficialità.
Occorre un progetto educativo che affermi che leggere è più importante che stare davanti a un video schermo; che giocare non significa stare seduti con un videogioco; che vestirsi è più utile che vestirsi firmati; che fare buone domande è meglio che ricevere tante risposte inutili; che il gioco di squadra è più efficace dell’isolamento narcisistico; che la stima reciproca dà più soddisfazioni dell’avere tanti soldi.