Gli uomini, secondo Teilhard de Chardin, potrebbero dividersi in tre grandi categorie, a seconda del loro atteggiamento verso la vita:
1) gli stanchi;
2) i gaudenti;
3) gli ardenti.
I primi hanno un concetto pessimistico, negativo dell'esistenza. Per loro «esistere è uno sbaglio ed un fallimento». Tale atteggiamento porta all'insoddisfazione, alla ribellione, all'incapacità di trovare un senso alla vita, e pertanto, a lungo andare alla depressione, alla infelicità, al fallimento.
I secondi sono portati continuamente alla ricerca del piacere. Per essi vivere è «godere», provare sensazioni, fare esperienze piacevoli, cercare la felicità, intesa nel senso più esteriore e materialistico. Conseguenza di tale atteggiamento è un continuo alternarsi di stati di eccitazione e di depressione, di illusione e delusione, condizione questa che prima o poi sfocia in crisi di insoddisfazione, di amarezza, di senso di sconfitta, ed in quella perniciosa «frustrazione esistenziale», di cui parla Victor Frankl, causa di tante sofferenze fisiche e psichiche.
I terzi, invece, sono coloro per cui la vita è una continua ascensione verso stati sempre più approfonditi di coscienza. Per essi l'uomo è un essere capace di perfezionarsi, di progredire, di realizzarsi in tutta la sua completezza. che è latente e potenziale. Vivere per loro è «maturare», «crescere», cercare la Verità, è un viaggio arduo, ma entusiasmante, alla scoperta di se stessi e di Dio. Un fuoco brucia dentro di loro, il fuoco dell'aspirazione al vero, al reale, a ciò che sta dietro alle apparenze... Il fuoco della ricerca dell'Assoluto, dell'Armonia; e per questo sono denominati «gli ardenti».
Questa suddivisione del gesuita e biologo francese, anche se schematica e troppo sintetica, può però aiutare a recepire dove possiamo collocare noi stessi, e solo se ci riconosciamo come «ardenti», potremo cominciare il lavoro dello sviluppo della coscienza, lavoro che a poco a poco ci aiuterà a conoscerci e ad autorealizzarci in quella che è la nostra reale essenza: il Sé. Se non sentiamo questa spinta interiore a «crescere dentro», per diventare veri uomini, a svegliarci dallo stato di incoscienza in cui siamo, è inutile intraprendere qualsiasi lavoro di autoconoscenza e di autorealizzazione, perché mancherebbe la base necessaria e la spinta indispensabile per la buona riuscita di esso.
Il punto di partenza dello sviluppo della coscienza è il preciso e chiaro riconoscimento di essere immersi nella incoscienza, di non avere ancora coscienza. E' la sofferta e travagliata insoddisfazione prodotta dal proprio stato meccanico, condizionato, limitato, non autentico, che è il sintomo ed il presagio di un altro stato verso cui ci stiamo muovendo consapevolmente o no, e che è la leva su cui far forza per «svegliarci» dal nostro sonno e ricordarci della nostra vera natura e così iniziare il lento, ma meraviglioso lavoro di trasformazione dell'uomo-animale in uomo-Dio e passare dal quarto regno al quinto.
Tutte le religioni, tutte le dottrine esoteriche e spiritualistiche rimangono per noi lettera morta se non lavoriamo allo sviluppo della nostra coscienza, poiché la conoscenza puramente intellettuale non produce una effettiva maturazione nell'uomo, ma rimane lì, gelido bagaglio di nozioni, che ingombrano la mente e offuscano la visione diretta. Dobbiamo «vivere» la teoria, trasformare la conoscenza in coscienza, far diventare le dottrine esperienza vissuta, ed allora scaturirà dal profondo di noi stessi una forza, una realtà, una consapevolezza, che ci renderanno diversi, più veri, più vivi, più autentici, più completamente «umani». Il lavoro di sviluppo della coscienza richiede costanza, pazienza e purezza di movente, ma i risultati che via via si otterranno se effettivamente si praticheranno gli allenamenti, gli esercizi e gli atteggiamenti interiori necessari, ripagheranno abbondantemente dello sforzo che si sarà fatto.
Una volta avuta la prima «presa di coscienza», la prima rivelazione, anche minima, sarà come affacciarsi da una finestra spalancata su un mondo nuovo e luminoso, che è là sempre, perché è il mondo della realtà e dei significati, il mondo delle cause, che noi non possiamo usualmente percepire, perché siamo incatenati e bendati dal nostro stato di incoscienza. E questo primo barlume non sarà altro che l'inizio di una serie di aperture e di esperienze interne, che a poco a poco ci porteranno al «risveglio» totale e completo, alla identificazione con la nostra essenza centrale: il Sé.