di E. F. Shumacher
Il nostro "ambiente", si potrebbe dire, è l'Universo meno noi stessi. Se oggi sentiamo che non tutto è in ordine con l'ambiente, al punto che richiede la protezione del suo Segretario di Stato, il problema non riguarda l'Universo come tale, ma il nostro impatto su di esso. Questo impatto sembra produrre, troppo spesso, due effetti deleteri: la distruzione della bellezza naturale, che è sufficiente già di per sé, e la distruzione di ciò che viene chiamato "equilibrio ecologico", o la salute e il potere di sostenere la vita della biosfera, che è anche peggio. Qui farò riferimento solo al secondo punto, e cioè ciò che stiamo facendo al pianeta.
Chi è "noi" in questo contesto? È la “gente-in-generale”? È la popolazione mondiale? Sono tutti e nessuno? No, non sono tutti e nessuno. La grande maggioranza delle persone, anche oggi, vive in un modo che non danneggia seriamente la biosfera o esaurisce il dono delle risorse naturali. Queste sono le persone che vivono in culture tradizionali. In genere ci riferiamo a loro come ai poveri del mondo, perché conosciamo di più la loro povertà piuttosto che la loro cultura. Molti diventano anche più poveri nel senso che perdono il loro capitale più prezioso, cioè la loro tradizione culturale, in rapida disintegrazione. In alcuni casi uno potrebbe a ben diritto affermare che diventano più poveri mentre diventano un po' più ricchi. Mentre abbandonano i loro stili di vita tradizionali e adottano quelli del moderno occidente, possono anche avere un crescente impatto dannoso sull'ambiente.
Resta il fatto, tuttavia, che non è la gran parte della popolazione povera a mettere a rischio la Navicella Spaziale Pianeta ma il relativamente esiguo numero di ricchi. La minaccia all'ambiente, e in particolare alle risorse e alla biosfera, deriva dallo stile di vita delle società ricche e non da quello dei poveri. Anche nelle società povere troviamo alcuni ricchi e finché questi aderiranno alla loro tradizione culturale fanno poco danno, o non lo arrecano affatto. È solo quando vengono "occidentalizzati" che scaturisce il danno all'ambiente. Ciò dimostra che il problema è alquanto complicato. Non è semplicemente questione di ricchi o poveri – i ricchi fanno danni e i poveri no. È una questione di stili di vita. Un americano povero può fare molti più danni ecologici di un asiatico ricco.
Afferrare il significato di "stile di vita" non è affatto semplice. Vengono coinvolte tutte le nostre più profonde attitudini e convinzioni, in altre parole, la nostra metafisica o la nostra religione. Per farla semplice: è una questione di ciò che consideriamo essere i nostri bisogni. È chiaro che abbiamo molte esigenze, alcune fisiche altre spirituali. I nostri bisogni fisici sono, come tutte le cose fisiche, limitati, mentre i nostri bisogni spirituali sono, in un certo senso, illimitati, e trascendono "questo mondo". Se si dice che "l'uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" non è solo un'affermazione moraleggiante ma un fatto (cfr. Deut. 8:3).
Una civiltà che dedica la propria attenzione principalmente e quasi esclusivamente al progresso materiale (dico quasi esclusivamente, perché l'esclusione totale di altri interessi renderebbe impossibile l'esistenza), una tale civiltà mentre avanza nella scienza e nella tecnica tenderà a sviluppare un nuovo stile di vita che esige sempre di più dall'ambiente fisico. Si consideri il bisogno di andare oltre, di trascendere, "questo mondo". Le persone che comprendono che "l'uomo non vive di solo pane" dedicheranno una gran parte delle proprie energie alla venerazione, alla preghiera e a molti esercizi spirituali. Una civiltà
materialista tenterà di elevarsi sopra "questo mondo" spedendo gente sulla luna e, in generale, andando nello Spazio. In termini di risorse e di impatto ambientale, il primo approccio è sicuramente meno impegnativo del secondo.
La preoccupazione odierna nei confronti dell'ambiente si riflette in numerosi rapporti. Prendiamo ad esempio due documenti semi-ufficiali ma altamente rappresentativi, Sinews for Survival e Pollution: Nuisance or Nemesis? Ciascuno di questi report si apre e si chiude con espressioni molto preoccupate e fanno spesso riferimento alla necessità di "rivedere i nostri valori". Il documento sull'inquinamento (Pollution) afferma che possiamo, e dobbiamo, fare due cose:
"Primo, possiamo impegnarci a comprendere il più ampiamente possibile la nostra vera situazione (che gli autori sentono ovviamente non essere completamente apprezzata ora). Secondo, possiamo liberare la nostra immaginazione dalla schiavitù dei sistemi esistenti e renderci conto che la civiltà industriale del ventesimo secolo è solo una, e non necessariamente la migliore, delle molte possibilità tra le quali l'umanità può scegliere".
Uno potrebbe aver desiderato che gli autori avessero seguito ulteriormente la loro linea di pensiero e spiegato perché sentivano che la nostra civiltà, che è chiaramente impegnata a conquistare l'intero mondo non sia "necessariamente la migliore" e quali sarebbero alcune delle "molte altre possibilità". Ma non lo fanno. Rivendicano "nuovi valori", ma non ci dicono quale dei nostri valori correnti dobbiamo abbandonare, dove trovare nuovi valori e come fare a gettare via i primi e a stabilire gli ultimi. Le raccomandazioni presentate in questi documenti sono esclusivamente di natura tecnica o amministrativa, con molte richieste di più ricerca e più indagini. Anche se si attuassero fedelmente tutte le loro raccomandazioni, non potrebbero scaturirne "nuovi valori" o un "sistema" significativamente diverso da quello che gli autori chiamano "civiltà industriale del ventesimo secolo".
L'attuazione dello stile di vita moderno, occidentale, è naturalmente ancora molto imperfetto e ci sono molti difetti tecnici che possono e dovrebbero essere eliminati. Ma non sono questi difetti a produrre problemi e pericoli ambientali. Possono esacerbarli, possono avere l'effetto di ridurre la cosiddetta "qualità della vita" sotto molti aspetti, possono condurre a danni non necessari e a sprechi imperdonabili. Ma tutto ciò è puramente marginale. Come uno dei documenti puntualizza chiaramente: "Questi passi ... guadagnano tempo durante il quale le società tecnologicamente avanzate hanno un'opportunità di rivedere i loro valori e di cambiare i loro obiettivi politici". Sarebbe veramente poco utile se facessimo grandi sforzi per guadagnare tempo ma non avessimo la benché minima idea di cosa farne.
Entrambi i documenti mostrano che gli autori dei due report hanno una fede implicita nell'istruzione, istruzione "nell'artigianato, nell'uso creativo del tempo libero, nei buoni rapporti di vicinato, nella buona agricoltura e nella cura della casa (Sinews for Survival). "Speriamo", si afferma nel rapporto sull'Inquinamento, "che la società venga informata e istruita...così che l'inquinamento possa essere portato sotto controllo e la popolazione umana e il consumo delle risorse essere dirette verso un equilibrio permanente e sostenibile". Nessun dubbio che l'istruzione, nel senso più lato del termine, è l'unico vero agente di cambiamento e oggi c'è una forte tendenza a trattarlo, diciamo, come l'ultimo legatario di tutti i problemi della società. È necessario, tuttavia, chiedersi se l'educazione mira solo ad aiutare le persone a comprendere i problemi e a conviverci in qualche maniera o se è pensata per cambiare la prospettiva di base della gente e le sue
aspirazioni così che i problemi non sorgono prima di tutto. Per risolvere un problema tramite l'istruzione, gli educatori devono non solo conoscere le cause ma anche i rimedi: informare semplicemente la gente sull'esistenza di un problema e abituarla a questo è veramente poco utile. Il volume dell'istruzione è aumentato e continua ad aumentare, così come l'inquinamento, lo sfruttamento delle risorse e i pericoli di catastrofe ecologica. Se a salvarci può essere solo più istruzione, dovrebbe essere un tipo di istruzione completamente diverso: un'educazione che va nella profondità delle cose e non si spreca in una battaglia sempre più ampia contro i sintomi.
Il problema posto dal deterioramento ambientale non è principalmente un problema tecnico; se lo fosse, non sarebbe comparso nelle sue forme più gravi nelle società tecnologicamente più avanzate. Non deriva da incompetenza tecnica o scientifica, o da un'istruzione scientifica insufficiente, o da una mancanza di informazioni, o da una carenza di manodopera specializzata, o dall'assenza di fondi per la ricerca. Deriva, invece, dallo stile di vita del mondo moderno che a sua volta trae origine dal suo credo di base, la metafisica o, se più vi piace, la sua religione. L'intera vita umana, si potrebbe dire, è un dialogo tra noi e l'ambiente, una sequenza di domande e risposte. Poniamo domande all'universo tramite ciò che facciamo e l'universo, con le sue risposte, ci informa se le nostre azioni si inseriscono nelle sue leggi o meno. Piccole trasgressioni richiedono risposte limitate e miti, mentre grandi violazioni evocano risposte generali, minacciose e probabilmente violente. Proprio l'universalità della crisi ambientale indica l'universalità della nostra violazione. È la filosofia, o la metafisica, del materialismo ad essere messa sotto analisi e la sfida non proviene da santi o saggi, ma dalla natura. Questa è una situazione del tutto nuova. In tutte le età, in tutte le società, i santi e i saggi hanno predicato contro il materialismo e predicato per un ordine di priorità più realistico. Le lingue sono diverse, i simboli variano, ma il messaggio centrale è rimasto sempre lo stesso, in termini moderni: datti le giuste priorità, e in termini cristiani: "Cerca prima il regno di Dio e tutte queste cose (le cose materiali di cui anche hai bisogno) ti verranno date in aggiunta". Verranno aggiunte, ci è sempre stato detto, qui sulla terra quando ci occorrono, non semplicemente in una vita futura che va al di la della nostra immaginazione.
Oggi, lo stesso messaggio proviene dallo stesso universo. Parla la lingua dell'inquinamento, dello sfruttamento, della rottura, della sovrappopolazione ma anche del terrorismo, del genocidio, della tossicodipendenza e via dicendo. È improbabile che le forze distruttrici che la filosofia materialista ha rilasciato possano essere "messe sotto controllo" grazie ad una semplice maggiore mobilitazione delle risorse (in termini di ricchezza, istruzione e ricerca) per combattere l'inquinamento, per conservare la natura, per scoprire nuove fonti energetiche e per arrivare ad accordi più efficaci per una pacifica coesistenza. Tutto indica che ciò che è più necessario oggi è una revisione dei fini verso i quali tutti i nostri sforzi tendono. E ciò implica che occorre soprattutto sviluppare un nuovo stile di vita che conferisca alle cose materiali il loro legittimo posto, che è secondario e non primario. La possibilità di mitigare il tasso di sfruttamento delle risorse o di portare l'armonia nelle relazioni tra uomo e natura non esisterà finché non si avrà idea di uno stile di vita che vede il Sufficiente come buono e il Più-che-sufficiente come male. Qui sta la vera sfida e nessuna quantità di ingegno tecnico può sottrarvisi. L'ambiente, nel suo linguaggio proprio, ci dice che ci stiamo muovendo nella direzione sbagliata e l'accelerazione nella direzione sbagliata non può metterci sul cammino giusto. Quando la gente vuole "scelte morali" in conformità con "nuovi valori" non significa nulla se non il superamento dello stile di vita materialistico del mondo moderno e il ristabilimento di alcuni autentici insegnamenti morali.
È piuttosto improbabile che noi del ventesimo secolo, più schiavi delle preoccupazioni materiali di qualsiasi altro prima di noi, si riesca a scoprire nuovi valori mai scoperti finora. E nemmeno è probabile che dovremmo essere incapaci di scoprire la verità della tradizione cristiana. Di fatti, esiste un insegnamento meravigliosamente sottile e realistico nelle dottrine delle Quattro Virtù Cardinali, del tutto rilevante e appropriato alla situazione moderna. Diamo uno sguardo a questo insegnamento.
I nomi latini delle quattro virtù cardinali (prudentia, iustitia, fortitudo e temperantia) denotano un più elevato ordine di eccellenza umana rispetto ai loro corrispettivi inglesi. Possiamo subito vedere che temperantia, cioè la virtù dell'auto-controllo, della disciplina e della moderazione, che preserva e difende l'ordine nei singoli e nell'ambiente, è la virtù più necessaria e la cui assenza nel mondo moderno si fa sentire maggiormente. La nostra ossessione con il cosiddetto progresso materiale, ingenuamente visto come prendere "le cose più buone della vita", non riconosce confini ed è quindi la più chiara dimostrazione possibile dell'intemperantia. Si è sempre saputo (ma chi lo ammetterebbe oggi?) che l'intemperantia porta direttamente alla disperazione. Significa caricarsi di ulteriori pesi nella ricerca di piacere e prestigio, di cui uno non ne ha mai abbastanza perché non danno soddisfazione ma riescono solamente a stupire per un breve periodo di tempo. Come disse una volta André Gide: "Il problema è che uno non riesce mai ad ubriacarsi abbastanza". Angoscia, disperazione, brutalità e bruttezza sono i segni infallibili dell'intemperantia così come la salute, la gentilezza, la bellezza e la felicità sono i frutti della temperantia.
Vogliamo veramente ascoltare questi vecchi insegnamenti cristiani quando dobbiamo discutere di ambiente? Perché questa preoccupazione di vecchia data per le virtù, quando potremmo investire il nostro tempo in maniera più produttiva, o almeno istruttiva, parlando della benzina senza piombo, della plastica biodegradabile, dello smaltimento sicuro dei rifiuti tossici, di aria e acqua pura, della riduzione del rumore e così via? Ma, poiché la causa dei nostri problemi è l'intemperantia come possiamo sperare di portare sotto controllo l'inquinamento o la popolazione o il consumo di risorse se non sappiamo controllare noi stessi e non siamo preparati a studiare la questione dell'auto-controllo?
Tuttavia, è abbastanza vero che temperantia, auto-controllo, di per sé non significa nulla. Nei vecchi insegnamenti era la quarta virtù cardinale, mentre la prima era prudentia, descritta anche come "genitrix virtuum", stampo e madre di tutte le altre. Senza prudenza, né la temperanza né la fortezza né la giustizia sarebbero virtù. E cosa è la prudenza? Non è quell’atteggiamento della mente piccolo, meschino e calcolatore che non ha affatto conquistato il mondo moderno ma un riconoscimento magnanimo e perspicace della realtà. E questo è sicuramente un traguardo morale perché richiede la riduzione al silenzio di tutti gli interessi egoistici. Solo dalla quiete di questo silenzio può scaturire la percezione secondo la realtà. L'antico insegnamento cristiano non definisce l'obiettività della prudenza come qualche tipo di neutralità etica. Anzi, la virtù cardinale della prudenza presuppone un orientamento dell'intera persona verso il più nobile traguardo della vita. Come recentemente ha affermato uno scrittore: "I traguardi sono presenti. Tutti sanno che bisogna amare il bene e perseguirlo...e non c'è nessuno cui bisogna dire che deve essere giusto, coraggioso e moderato".
Di nuovo, la domanda richiede attenzione: tutto ciò che cosa ha che fare con l'ambiente? La risposta è che ha qualcosa a che fare con l'intero rapporto tra noi e la natura. Se la
natura adesso ci dice, nel suo linguaggio, che stiamo minacciando la sua salute e la sua capacità di sostenere la vita, siamo ovviamente in debito nei confronti della virtù della prudenza e non siamo stati capaci di vedere le cose come sono effettivamente. L'antico insegnamento cristiano sostiene che nulla acceca più un individuo e distrugge la prudenza quanto l'avidità e l'invidia.
Stiamo flagellando l'ambiente per soddisfare l'avidità e mitigare l'invidia, in parte perché siamo incapaci di affrontare il problema della giustizia e cerchiamo di scansarlo. "Perché preoccuparsi della giustizia distributiva", diciamo spesso, "quando possiamo promuovere la crescita economica, così che tutti stiano meglio economicamente?". Ma ora iniziamo a renderci conto che c'è un limite a questo tipo di crescita e ciò significa che la questione della giustizia non può più essere evitata. È una questione che si risolve con un calcolo, oppure è una virtù che è necessario imparare e praticare da persone consapevoli del proprio scopo finale? L'antico insegnamento cristiano pone, come seconda virtù cardinale, la giustizia, più della fortezza e della temperanza perché, come disse Tommaso d'Aquino, non solo mette ordine nell'uomo ma anche nella vita degli uomini insieme.
È inutile, anzi, impossibile parlare dell'ambiente senza considerare la vita delle persone insieme. Possiamo dire: ogni società, ogni sistema sociale, produce l'ambiente che si merita. Ho già accennato al fatto che l'intera vita umana potrebbe essere chiamata come un dialogo tra il sistema sociale e il suo ambiente, e se il sistema sociale non è adatto alla realtà, l'ambiente risponde ammalandosi. È proprio perché il nostro sistema sociale non solo trascura ma anzi scoraggia attivamente le virtù cardinali di prudenza, giustizia, fortezza e temperantia che ora ci troviamo nei guai con l'ambiente. Non sorprende, quindi, che molti reclamano un sistema sociale diverso consentendo così una maggiore comprensione di quelli che reclamano solo più ricerca scientifica e tecnologica per "risolvere" i problemi che ci troviamo di fronte. Va tuttavia sottolineato che proprio come il sistema sociale modella l'ambiente, così la nostra filosofia di base dà forma al nostro sistema sociale. A meno che questa filosofia non cambi, il sistema non può cambiare nella sua natura essenziale anche se potrebbe cambiare molto in termini di distribuzione dei poteri e della ricchezza, o in termini di struttura o metodo d'amministrazione.
Le forze maligne dell'avidità e dell'invidia devono essere combattute dalla resistenza e dall'attacco, e questa è la funzione della virtù cardinale della fortezza. Il facile ottimismo secondo cui "la scienza risolverà tutti i problemi" o per il quale siamo in grado di raggiungere in qualche modo un sistema socio-politico così perfetto che nessuno deve essere buono, è la forma più attuale di codardia.
Vediamo più in profondità: è sicuramente facile reclamare "nuovi valori" senza specificare quali sono e come si ottengono. La realizzazione di un valore è impossibile senza la pratica della virtù. Oggi è la fortezza che ci avverte che non ci può essere un cambiamento in meglio senza un cambiamento nella vita quotidiana di ognuno di noi.
Siate facitori della parola e non uditori soltanto, ingannando voi stessi. Poiché, se uno è uditore della parola e non facitore, è simile a un uomo che osserva la sua faccia naturale in uno specchio; egli osserva se stesso e poi se ne va, dimenticando subito com'era. (Giacomo 1:22-24)
La crisi ambientale è lo specchio che ci mostra che tipo di persone siamo e il grande insegnamento cristiano delle quattro virtù cardinali ci mostra che tipo di persone potremmo e dovremmo essere. Non c'è traccia in questo insegnamento di sentimentalismo, pietismo
o nausea negatrice di vita. Il principio del piacere è così lontano da ciò quanto il principio del piacere che sfiducia e denigra.
Fa parte ormai della saggezza tradizionale odierna affermare che è in corso un conflitto tra la conservazione di un ambiente sano, da una parte, e la crescita economica, dall'altra. Di conseguenza, le persone che si preoccupano del deterioramento dell'ambiente sono spesso additate come "elitisti della classe media", "sfruttatori della borghesia" o qualsiasi altro termine di abuso politico che può essere estratto dal dizionario della controversia moderna. I rappresentanti del Terzo Mondo, allo stesso tempo, dichiarano che scambierebbero volentieri un po' di inquinamento in più con un aumento dei loro standard di vita disperatamente bassi. "La miseria dell'economia umana", afferma Gandhi, "è l'inquinamento più grande di tutti".
C'è un po' di verità in tutte queste affermazioni. Il tipo di crescita economica che è stata stabilita in tutto il mondo, soprattutto sotto l'influenza dell'impresa capitalistica, si è in verità rivelato così dannoso per l'ambiente che uno può giustamente dire: continuare la crescita lungo questi binari probabilmente sarà incompatibile con la sopravvivenza umana. E se il primo motivo di preoccupazione per i conservazionisti fosse la paura di ciò che potrebbe accadere al loro proprio alto standard di vita se il Terzo Mondo riuscisse a copiarci, allora questi potrebbero essere tacciati di elitarismo e sfruttamento. Un bracconiere non è mai convincente come guardiacaccia. È anche vero che l'"inquinamento" della miseria umana è più offensivo dell'inquinamento dell'ambiente fisico. Ma non è vero che non è possibile combattere il primo senza aumentare il secondo.
Il punto è che il sistema economico del mondo moderno, se considerato dal punto di vista dei bisogni umani reali, è quasi incredibilmente inefficiente. Divora il mondo, proprio la base della nostra esistenza, mentre lascia la grande maggioranza delle persone in condizioni miserabili. Si può affermare con sicurezza che la razza umana non ha mai conosciuto un sistema economico in cui il rapporto tra entrata di risorse insostituibili e uscita in termini di soddisfazione umana non è mai stato così sfavorevole come ora. È proprio questo sistema, lo stile di vita del mondo moderno, che è incompatibile con la salute della Navicella Spaziale Terra, e non semplicemente una maggiore crescita e l'espansione del sistema.
Sostituire l'idea di una veloce crescita economica con l'idea della crescita zero, vale a dire, della stagnazione organizzata, significa sostituire un vuoto con un altro. L'ambiente non può essere salvato aggrappandosi ad uno stile di vita che riduce tutto (il più possibile) alla pura quantità, trascurando sistematicamente la discriminazione qualitativa e cercando quindi si stabilizzare la quantità. Un tale tentativo, predestinato al fallimento, potrebbe semplicemente aumentare la confusione generale, stimolare l'avidità e l'invidia e portare le vittime dell'ingiustizia alla disperazione finale.
Speriamo che prevalga il consiglio più saggio: ritrovare la nostra via verso le antiche virtù cristiane, lasciare che il loro insegnamento permei tutti i nostri sforzi d'istruzione, imparare a sottomettere la logica della produzione e della produttività in nome di una più alta logica di reali esigenze e aspirazioni umane, riscoprire la giusta scala delle cose, la loro propria semplicità, il loro proprio posto e la loro funzione in un mondo che si estende infinitamente oltre il puramente materiale, imparare ad applicare i principi della non-violenza non solo nelle relazioni tra le persone ma anche in quelle tra uomo e natura vivente.