di Silvana Bavetta
Quasi un terzo della popolazione mondiale recita il Padre Nostro (cattolici, ortodossi e protestanti), l’unica preghiera insegnata dal Cristo nei Vangeli, dietro richiesta dei discepoli. La troviamo in Matteo 6,9-13 e Luca 11,2-4.
Questa preghiera veniva consegnata, come strumento denso di mistero, a chi si preparava al battesimo. Il Padre Nostro è una preghiera con profondi significati mistici e in cui è racchiuso l’intero insegnamento del Cristo. E’ una preghiera per tutti noi che ci consideriamo anime in cammino. Le due versioni citate, la prima, quella di Matteo è rivolta a tutti e viene pronunciata dopo il Discorso della Montagna o le Beatitudini, la seconda, quella di Luca, è rivolta ai suoi discepoli, quando essi gli chiesero di insegnare loro a pregare. Nel Concilio di Nicea, nel 325 d.C., la Chiesa cristiana unì le due versioni nella preghiera come oggi la conosciamo includendo nel testo di Luca quello di Matteo, ove le versioni differiscono. La prima lingua in cui il Padre Nostro è stato tramandato oralmente è l’Aramaico, successivamente sono state scritte le versioni in Ebraico, Greco e Latino. Noi l’abbiamo conosciuta in Latino fino al 1969, usato nelle messe e, successivamente, in Italiano.
Il Padre Nostro è una formula concentrata per lo sviluppo spirituale e fu composta con estrema attenzione dal Maestro con il proposito di produrre un radicale cambiamento nell’anima. Gesù raccomanda di pregare in segreto e con semplicità, ed offre il Padre Nostro ai suoi, come esempio di preghiera con la quale rivolgersi al Padre. Introdusse il termine “abbà”, che è molto più diretto di “padre”, equivale al nostro termine “papà”, che esprime una intimità e una tenerezza profonda.
Il Padre Nostro offre sette espressioni, di cui tre riguardano il Padre: conoscerlo, santificare il Suo Nome e desiderare il Suo Regno; una espressione centrale, il cuore della preghiera, che esprime la possibilità di realizzare la Volontà del Padre sulla Terra e che rappresenta l’obiettivo da raggiungere. Le ultime tre sono richieste rivolte al Padre, in aiuto dell’umanità. Esaminiamole una per volta.
Padre Nostro, che sei nei Cieli: Gesù si rivolge a Dio, invocandolo come Padre Nostro. E’ il Padre di cui tutti gli esseri umani sono figli. Il termine Padre richiama l’essenza della creazione ed implica il principio Vita. Principio presente anche in noi, in quanto figli. Inoltre quel “Nostro” equivale a proclamarci fratelli, tutti figli di Dio, e fratelli del Cristo. E’ il Cristo infatti che ci apre la Via. Il termine aramaico “abbà” “padre” implica una intimità con il padre e una affettuosità che esprime la volontà di Dio di proteggere la sua creatura e dall’altra il riconoscimento degli uomini e delle donne di essere figli di Dio e di essere fratelli. L’altra parte “Che sei nei Cieli”, “che dimori nella parte più alta”, è un invito a guardare il cielo fuori di noi e dentro di noi. Fuori di noi, perché le leggi divine sono dispiegate nel Cosmo e dentro di noi, perché un riflesso, una scintilla di Dio, si trova in ognuno, nel nostro cielo, nella parte più alta. Lì, in quella parte, possiamo contattare la nostra essenza divina. Ed è lì che si dispiega completamente il primo aspetto: noi siamo divini e siamo fratelli! Siamo ad immagine del Padre e in quanto figli abbiamo la stessa potenzialità del padre. Soprattutto siamo fratelli del Cristo, Egli ci offre un cammino, una Via, per poterlo sentire Fratello.
Sia santificato il tuo nome: Il nome di Dio non è conosciuto, la tradizione cabalistica insegna che il nome di Dio è composto da 72 nomi o potenze. Ma noi lo chiamiamo Padre, il termine offre una intimità mai espressa prima, ci offre la possibilità di sentirlo dentro di noi e ci fa provare l’impressione che è sempre vicino: possiamo pensare che Dio è presente in noi e al tempo stesso che noi siamo parte di Lui, che Egli è il Tutto e noi, un piccolissimo frammento di quel Tutto. Dire il “Tuo” e non il “Suo” nome esprime il rapporto diretto con il Padre, con Dio. Il fatto di non collocare Dio in una parte lontanissima da noi, fa mutare la prospettiva. Ci accorgiamo che possiamo comunicare con Lui, possiamo sentirlo presente nella nostra vita e soprattutto possiamo conoscerlo attraverso questa relazione. Allora Sia santificato il tuo nome diventa il riconoscimento continuo e costante di sentire Dio in ogni cosa, di essere immersi nella sua presenza. L’espressione esprime lo sforzo di raggiungerlo, di costruire un ponte, come facciamo del resto tra il nostro sé inferiore e il nostro Sé superiore. La luce del Sé ci illumina e nel prenderne contatto, impariamo a rendere sacri la nostra mente, il nostro corpo, le nostre emozioni, a rendere sacro tutto ciò che facciamo. Santificare il nome di Dio significa santificare la Sua presenza in noi e quindi divenire responsabili della propria vita, delle relazioni con gli altri, con tutti i regni di natura, con il pianeta e con il cosmo. Mi viene in mente San Francesco e il suo inno alla fratellanza con tutte le creature, con la madre terra e con il cosmo. Siamo creature tra creature di diversa tipologia ed entità. Attraverso la santificazione estendiamo il concetto di fratellanza a tutto il creato.
Venga il tuo Regno è la terza espressione invocativa. Si manifesti il Tuo Regno, soprattutto nel nostro cuore. Quel Regno è l’apertura del cuore, è il contatto tra cuore e mente che ci predispone alla comprensione, all’accoglienza, alla gratitudine, alla gioia, alla cooperazione, al rispetto, alla vita, all’etica. L’etica è una legge che ci fa andare in profondità fino alla nostra essenza e ci apre ad una visione più alta. Il Cuore diventa il laboratorio alchemico delle polarità degli opposti; quel luogo dove, attraverso, l’Amore, troviamo una sintesi, un punto diverso che media o meglio ancora equilibra luce e ombra. Inoltre, contattare il cuore ci consente di arrivare ad una conoscenza immediata che si chiama Sapienza che va oltre la forma. Con la Sapienza si assapora il contenuto, il significato che è causa della forma. A questo punto l’emozione scaturisce da un pensiero focalizzato e diventa Sentimento e può diventare Aspirazione. Nella crescita emotiva partiamo dal Plesso solare, arriviamo al Cuore e poi alla Mente: questo processo è salire la montagna, arrivare alla vetta.
Sia fatta la Tua Volontà come in Cielo così in Terra. Questa è la parte centrale del Padre Nostro. Abbiamo contattato il cuore nell’espressione precedente e scopriamo che la Sua Volontà è ancorata nel cuore. E’ volontà d’amore che diventa azione. E’ quella volontà che ci indica la direzione e la modalità di operare. Abitiamo il cuore ed essa, la “Volontà”, si rivelerà in ogni gesto, in ogni pensiero, in ogni parola, in ogni relazione. Infatti, si svela come Verità quando ci permette di conoscere in profondità e in essenza una persona, una situazione; si svela come “Potenza” quando ci consente di attingere ad energie nuove e trasformative; si svela come Bellezza, quando ci consente di vedere i talenti degli altri. Ma tutto ciò non è solo un sentire, diventa un fare che ci può permettere di trasformare noi e il mondo in cui viviamo. Infatti la parte fisica di cui si serve sono le braccia e le mani: quale gesto più amorevole dell’abbraccio, ma anche dell’operare, del costruire per il Bene comune: siamo in qualche modo degli operai che costruiscono il Regno di Dio.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano. L’essere umano chiede, per prima cosa il pane, simbolo del nutrimento, indispensabile per la vita. Ma il pane di cui si parla non è solo il pane fisico, che comunque fa parte della richiesta. Cristo infatti ha sfamato la folla, moltiplicando i cinque pani e i due pesci. Ma la richiesta allude al pane spirituale: quando il Cristo è nel deserto e viene tentato perché aveva fame, risponde che l’uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio, alludendo al nutrimento spirituale che deve essere quotidiano, come il pane fisico che nutre il corpo. Cos’è il nutrimento spirituale? E’ la purificazione dei pensieri, dei moventi, delle azioni. E’ vivere portando in manifestazione e, se possibile nel servizio, un pensiero orientato al Bene comune, è vivere obbedendo alla legge dei Retti Rapporti, è vivere orientati verso il centro di noi stessi, quel centro che chiamiamo Coscienza.
Rimetti i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Perdona le nostre offese, così come noi perdoniamo chi ci offende. Il termine “Perdono” compare nella quotidianità dell’essere umano. E’ un capovolgimento della legge ufficiale o del concetto di giustizia. Il perdono è una azione che parte dal Cuore, lo chiediamo al Padre, che già ci ha perdonato. Mi ricorda la parabola del Figliol prodigo, che torna alla casa del Padre che corre ad abbracciarlo, manifestando gioia e accoglienza. Lo aveva già perdonato ed era rimasto in attesa, con una pazienza attiva, che il figlio comprendesse, che si liberasse dell’ignoranza e rientrasse a casa, manifestando un nuovo senso di responsabilità sia verso se stesso nel riconoscersi figlio, sia verso gli altri, non dissipando l’abbondanza dei doni ricevuti, ma utilizzandoli nel modo più equo ed evolutivo. Questa è la prima parte, la seconda riguarda noi e mi ricorda la frase del Cristo “Porgi l’altra guancia”, che non significa lascia correre, che fa pensare a una forma di passività. La frase vuole indurci a comprendere in profondità l’altro, a volte anche noi stessi, o gli altri aspetti dell’offesa. Mettersi in relazione profonda con chi ci offende, fa diventare questo ostacolo una opportunità di crescita. L’ostacolo spesso è il nostro maestro, è quell’ombra che va illuminata e soprattutto elevata in vibrazione. Se riusciamo a fare ciò, ci sarà una azione conseguente, perché derivata da una comprensione e soprattutto da una compassione che parte da un processo che riguarda noi e l’altro. Mi piace vederlo così e mi sembra che ci avviciniamo a un senso di Giustizia più elevato! Perché in realtà con la legge del perdono applichiamo l’Amore in una sfaccettatura che prevede l’unione di mente e cuore e che esprime la volontà di obbedire ad una istanza più profonda, essenziale: riconoscere nell’altro se stessi, forse in un processo evolutivo diverso, ma comunque fratello. Tutto ciò ci consente di assumere quel distacco, necessario, che non è assenza di passione o di sentimento, ma rivela l’attenzione che ci porta alla cura, come possibilità di guarigione.
Non abbandonarci nella tentazione, ma liberaci dal male. E’ il momento del discernimento: dinanzi alla seduzione delle possibilità materiali, quali il lusso, il superfluo, il controllo, l’onnipotenza e il potere sugli uomini e sulle cose, ecco che ci soccorre l’allenamento del pensiero purificato, che ci fa comprendere cosa ci serve veramente. Ci soccorrono le meditazioni sui Retti Rapporti, la Volontà di Bene, l’Avvicinamento Spirituale, l’essere centrati sulla coscienza e queste tentazioni ci appariranno ostacoli da superare o meglio ancora stimoli per un percorso di crescita. Il Cristo, nel deserto, dopo la purificazione nelle acque del Giordano, affronta queste prove: sono le prove di una Personalità forte, grande. Egli le vince con un pensiero fortemente concentrato sulla via spirituale, sull’essere figlio di Dio. Il Cristo, ancora una volta, ci mostra la via da seguire. L’altra espressione “liberaci dal male” è una richiesta d’aiuto, di soccorso e indica la reale possibilità che, attraverso il restare focalizzati nella coscienza, è possibile vivere una vita diversa, sicuramente più abbondante di doni spirituali.