di Mariabianca Marelli
Etica, dipendenza e responsabilità
“Sono forse il custode di mio fratello"?
Sul Sentiero, il Pellegrino adotta un’alta Etica, che sente come “Bellezza in azione” nel quotidiano; si tratta naturalmente di un processo, lento e faticoso, che avviene per rivelazioni e comprensioni parziali ma inevitabili, al quale l’ego si oppone strenuamente forgiando continuamente alibi e giustificazioni. Ben lontana da rigidità, dogmatismi e dal triste e perdente moralismo, l’Etica realizza la Volontà-di-Bene universale al grado più alto possibile per il livello evolutivo di ciascuno. Essa sorregge e direziona la Coerenza, che è “persistenza nell’azione”. L’Etica, e la Coerenza, che ne è la sua consapevole e tenace applicazione, appaiono propedeutiche a qualsiasi “tecnica”, “percorso” o “raggiungimento spirituale”; implicano la scelta libera e gioiosa del Bene Maggiore rispetto al minore e la preferenza assoluta data alla Bellezza rispetto al proprio piccolo tornaconto personale: sono espressione dell’Amore-per-il-Tutto.
Così impregnato della luce dell’“Amore-per-il-Tutto” che l’Etica costantemente indica, il Pellegrino sempre più rifugge da scelte e comportamenti che, considerati ovvi e “naturali” nell’“Aula dell’ignoranza” (“così fanno tutti”), appaiono a livelli più avanzati intrinsecamente oscuri e regressivi, immaturi e disarmonici:
“Affascinati dai mezzi che la scienza e la tecnica hanno messo a disposizione,coloro che possono approfittarne non si domandano se ciò che stimano utile e benefico per se stessi lo sia anche per gli altri…. Eppure sono questi gli eroi
ai quali la folla vorrebbe assomigliare, senza rendersi ben conto che tali modelli sono dei mostri. Ebbene, occorrono ora altri eroi, eroi per il nostro tempo. Il vero eroismo consiste nel riuscire a trionfare sul proprio egoismo,
quell’egoismo che conduce sempre allo scontro. Se tutti gli uomini ricchi, potenti e influenti consacrassero le proprie energie alla ricerca di un po' più di fratellanza, anziché impiegarle per ottenere il successo sul piano materiale, allora
l’abbondanza e la pace regnerebbero su tutta la terra”.
(Omraam Mikhaël Aïvanhov, Pensieri quotidiani)
Soprattutto l’ego pecca in “omissioni”, nel non-amare, lasciando inascoltata e negletta la voce dell’anima che richiama alla respons-abilità e che svela l’inganno che nasconde la verità della Legge: Siamo tutti “custodi di nostro fratello”. In realtà, a ben vedere, più che sulle nostre azioni, saremo giudicati (o ci giudicheremo) sull’Amore e sulle omissioni relative all’intenzione di Amare:
“Ogni pensiero, ogni parola e ogni atto colmi d'amore sono una virtù.
Là dove vengono meno esiste il peccato”.
(Hazrat Inayat Khan)
Anche la meditazione, che, secondo il senso cui rinvia l’etimologia, è il mezzo che collega il basso con l’alto, la prassi quotidiana e l’Intuizione, l’anima e gli archetipi, è favorita e sostenuta dall’Etica: la pur-ezza (da pur, fuoco) del canale - in pensieri, parole e opere - favorisce prima il “riconoscimento” e poi l’accoglienza e l’assimilazione delle Idee superiori, dissolvendo le illusioni mentali e mistico-emotive e “bruciando”, appunto, come suggerisce l’etimologia, le scorie che ne impediscono l’afflusso o ne alterano il Senso.
E’ nella Purificazione il segreto dello sviluppo umano:
“Un uomo può avere acquisito qualunque Siddhi e tuttavia non essere ancora pronto per l’Iniziazione; quelli che deve possedere sono i requisiti morali.” (Annie Besant, Il Sentiero del discepolo)
In tale Visione “etica”, la spiritualità perde i caratteri del sognante “abbandono alle energie dell’universo”, tipici di certa New Age, e diventa strenuo impegno:
- dentro, nel mondo del pensare e del sentire, per trasmutare i propri pensieri disarmonici e le proprie manchevolezze emotive;
- fuori, nel mondo del fare, per “portare il regno di Dio sulla Terra”.
Uno dei maggiori filosofi morali della nostra epoca, Emmanuel Levinas, osserva che dalla rabbiosa domanda di Caino («Sono forse il custode di mio fratello?») con la quale replica a Dio che gli chiedeva dove fosse il fratello Abele, che aveva già ucciso, ebbe inizio ogni immoralità:
“Certamente sono io il custode di mio fratello; e sono e rimango un essere morale…Che io lo ammetta o no, sono il custode di mio fratello perché il suo benessere dipende da ciò che io faccio o che mi astengo dal fare. Sono un essere morale perché riconosco questa dipendenza e accetto la responsabilità che ne consegue.
Nel momento in cui metto in discussione tale dipendenza domandando ragione - come fece Caino - del perché dovrei prendermi cura degli altri, in questo stesso momento abdico alla mia responsabilità e non sono più un essere morale. La dipendenza del fratello è ciò che fa di me un essere morale. La dipendenza e la morale o si danno insieme, o non si danno”.
(Emmanuel Levinas)