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La sublimazione della sofferenza

La sofferenza, cioè il dolore, è senza dubbio lo strumento di insegnamento più potente. Nessuno può negarlo, tuttavia, non è altrettanto chiaro come agisca sulla persona. È altresì vero che la causa del dolore sia l’amore imprigionato entro la nostra interiorità, affinché portiamo l’attenzione ad esso e, pian piano troviamo la via per liberarlo dal labirinto.

Innanzi tutto diciamo che il dolore supplisce all’ignoranza, nel senso che là dove c’è una ferita aperta, ci induce a scoprirne la causa o almeno a curarla secondo il nostro livello di conoscenza e, dunque, coscienza.
Esaminiamo la dinamica della sofferenza. Da che dipende? La coscienza soffre per una attività di uno o più dei propri Deva corporali, il Mentale, l’Emotivo, l’Eterico, oppure una combinazione dei tre.

Dal punto di vista dei Deva è una attività programmata e memorizzata; ma dalla prospettiva della coscienza quella attività viene colta come dolore. Perché. Perché la coscienza coglie l’attività come non conforme alla struttura vitale e, avendo in sé il codice di quella struttura, seppur celato, sente che non vi è sintonia tra il codice della vita e l’attività dei Deva.

A ben vedere, ci sarebbe la possibilità da parte della coscienza di non soffrire per la disparità di azione tra il Piano evolutivo e il comportamento devico. Sarebbe possibile, se la coscienza accettasse la “imperfezione” dei Deva. Si, proprio così; la causa del dolore è la non accoglienza della imperfezione devica. Se così fosse, la coscienza sarebbe in grado di cogliere all’istante il Principio perfetto, il cui degrado procura l’attività devica e, il proprio dolore. Sarebbe, quindi, capace di elevare il degrado alla frequenza dell’Archetipo principiante, vedendo e sentendo nel proprio corpo non lo squilibrio, bensì la forza risanante del Principio. Così come accade alle anime incarnate capaci di passare attraverso la “iniziazione” del martirio. Che cosa fa del martirio strumento immediato di liberazione? L’accoglienza da parte del martirizzato del dolore sublimato al Principio creativo. In quell’istante, avviene la totale accettazione della feroce sofferenza, che in realtà è la trasmutazione del dolore in amore, poiché viene colta per quello che è: il lato in ombra, a volte, nel buio pesto, del Disegno Divino. Il dolore scompare e lascia il posto alla catarsi; infatti, non vi è martire che non abbia raggiunto i lidi sovramundani dell’Amore.

Il punto è che non tutti dobbiamo passare sotto il giogo del martirio per liberarci dalla sofferenza; tuttavia, la dinamica è la stessa. Se fossimo capaci di elevare, all'istante, con un guizzo di visione animica, il significato di ciascun dolore al Principio sotteso, vedremmo con altro sguardo la sofferenza e la riconosceremmo come strumento di crescita. Questo è l'allenamento pratico da compiere per elevare i significati alla loro causa originante, affinché l'effetto sulla materia diventi sempre più conforme al Disegno evolutivo finalmente svelato.

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