Costruire edifici è forse l’attività più antica e nobile del mondo. Lo hanno testimoniato i maestri muratori edificando cattedrali che ancora oggi raccontano verità celate attraverso la simbologia delle loro proporzioni. Costruire è l’azione che segue la progettazione, e il progetto è frutto dell’immaginazione. L’immaginazione, dunque, spinge l’uomo a costruire strutture per le sue necessità: dal riparo per sé e la famiglia, al tempio dove ritrovarsi con Dio. Ma l’immaginazione quando è indirizzata verso il finito piuttosto che l'infinito, fa sì che l'uomo progetti strutture complesse che sfidano puranche le leggi della gravità e, tuttavia, tendono a cristallizzarsi velocemente, divenendo fortezze inespugnabili. Gli esempi sono tanti e variegati; dalla Torre di Babele al labirinto di Teseo; passando per le cattedrali nel deserto e le tante torri eburnee in cui ci imprigioniamo con l’illusione di esserci protetti.
L’errore è sempre lo stesso: credere che la struttura sia la meta, anziché il mezzo per giungervi. Così costruiamo strutture mentali, emotive e di cemento sempre più pesanti e tetre, e in tal modo perdiamo l’orizzonte, dimenticando che la leggerezza del mezzo ci faciliterebbe il cammino. Edifichiamo castelli faraonici per poi perderci nei corridoi laddove le trame di palazzo compiono i loro destini. Ci illudiamo di ordinare l’ambiente disegnando geometrie perfette che, al contrario, ci imprigionano in teoremi irrisolti in cui i cateti delle mete e l’ipotenusa del piano non trovano pace. Tanto varrebbe mantenere lo Spirito libero di spaziare sotto la volta del cielo e avere come certo riparo la propria coscienza, sapendo di non perdere mai la direzione volgendo lo sguardo alle stelle.