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La parola che guarisce

L’uomo è un essere dotato di intelligenza auto-cosciente. Si immerge nella vita con tutto il retaggio divino per esperirlo entro le forme materiali ed avere contezza della creazione. Inizia questo viaggio come scintilla di luce o Monade che si distacca dal grande Fuoco unificante e sprofonda nelle dimensioni sempre più dense della materia. Nel buio della sostanza impara attraverso il dolore, che è l’unico modo per fare esperienza, almeno iniziale, della durezza e concretezza fisica.

Dunque, noi essere umani soffriamo per risalire la china dell’esistenza dopo essere sprofondati nel baratro della manifestazione. Ritornare a "riveder le stelle", è il nostro compito evolutivo; quelle stesse stelle del cielo notturno a immagine e ricordo delle miriadi di scintille coscienti in viaggio.

Nel corso dei millenni l’umanità ha sperimentato varie vie e procedure per guarire dalla sofferenza, ma, ce n’è una in particolare che è stata scoperta e percorsa da un uomo: Asclepio. Diciamo subito che Asclepio o Esculapio, in latino, è stato il fondatore della medicina. Con la sua verga, da non confondersi con il Caduceo di mercuriale memoria, assestava un colpo nel terreno della malattia, facendo sgorgare la fonte di salvezza.

Egli utilizzava l’intelligenza umana nel più alto strumento a nostra disposizione: la parola. Ebbene sì, la parola di potere frutto del pensiero creativo. Approfondendo il concetto, troviamo la base della magia creativa fatta di intenzione focalizzata, di proiezioni nel piano fisico mediante immaginazione e, di un’alto elemento magico che è il racconto ritualizzato; ossia: la drammatizzazione.

Queste componenti sono la chiave della magia di guarigione adottata da Asclepio, il fondatore non solo della medicina, ma anche della odierna terapia psicosomatica o psicodrammatica. Ebbene sì. Il caro Esculapio è stato il precursore della drammaturgia come strumento di guarigione. Tutte le moderne pratiche, dallo psicodramma alle costellazioni famigliari, derivano dalla sua procedura di guarigione.

A ben vedere, egli stesso aveva compreso quale fosse il potere della suggestione immaginativa espressa con parole e rituali di rappresentazione della caducità umana, ovvero, della messa in scena del dolore come personaggio del dramma. Il teatro o, meglio, la tragedia greca, ha queste origini ed anche la funzione catartica di sublimare il dolore, nelle molteplici sfaccettature umane, fino farne emergere l'essenza redentrice.

La parola e il gesto, diventano, in Esculapio, causa ed effetto fusi insieme, a sintesi e unificazione del punto d’origine. Le cerimonie rituali nel tempio circolare di Asclepio, situato nel sottosuolo non a caso, poiché metafora del percorso emersivo-conoscitivo nei meandri del subconscio, sono la rappresentazione pantomimica della sofferenza assunta a dramma della vita. Ciascun personaggio porta un elemento alla narrazione, finché tutte le parti in gioco, componenti del dramma, non siano rappresentate, esperite e sublimate. Il racconto è sia il messaggero che il guaritore. È la forza della parola fatta gesto o divenuta carne per porre il sigillo della creazione: non più fallace, bensì redentrice. Pensiamo ai riti sciamanici; alla danze propiziatrici svolte in gruppo da tutti i componenti di una tribù. Quale compito avevano se non quello di creare benessere e guarigione? Pensiamo alle messe carismatiche e alle cerimonie mistiche o laiche degli odierni gruppi di crescita.

Da sempre, la parola di potere, sia essa formula magica o sentenza regolatrice, ha il compito di forgiare la materia e, dunque, la forma degradata che da essa proviene: il dolore. Quel dolore è guarito con l’atto sacro che pone il guaritore, il malato e il dolore in un triangolo rituale di salvazione. I mantra delle cerimonie iniziatiche hanno avuto questo scopo, quali comandi del potere trasformativo.
Questo faceva il grande Asclepio, questo fanno i drammaturghi ed autori di ogni epoca. Questo fanno i terapeuti più illuminati, riscoprendo ad una voluta superiore, l’arte e scienza antica del racconto o parola guaritrice.

Edoardo Conte

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