di Edoardo Conte
Nella pratica della meditazione orientale si tende ad annullare la mente, o meglio il pensiero, per approdare ai reami dell’Anima o, in altri termini, accedere al serbatoio Divino da cui attingere perle di saggezza.
La tecnica più usata è quella di fare il vuoto nella mente; un vuoto evocato da un’immagine emblematica come quella di una lavagna nera su cui i pensieri vaganti vengono sistematicamente cancellati, e così, annullare il pensiero. Per un occidentale immerso nell’immaginario collettivo della civiltà delle immagini, l’evocazione della lavagna nera non procura un annullamento dei pensieri; al contrario, materializza sullo schermo mentale una ridda di lavagne nere di fogge e misure differenti, ottenendo l’effetto opposto a quello desiderato. Un labirinto di lavagne nere in cui perdere l’orientamento e… il contatto con l’Anima. Come racconta una storiella divertente riferita a un alchimista che spiegava al discepolo come ottenere l’oro dal piombo. Alla fine della spiegazione il maestro esortava l’allievo a non pensare mai ad un elefante bianco, pena il fallimento dell’alchimia. Da quel momento in poi il discepolo fu ossessionato dall’immagine dell’elefante bianco che più tentava di scacciare, più tornava in differenti situazioni fino a prendere definitivamente residenza stabile nella sua mente! Ecco perché la meditazione per l’occidentale non contempla l’annullamento del pensiero, impossibile per le menti immaginifiche d’occidente; bensì, la focalizzazione su di un unico pensiero che è detto: “Pensiero-seme”.
Il pensiero-seme serve da guida alla meditazione stessa. Esso costituisce il tema, o il filo conduttore che meglio focalizza l’attenzione in un’unica direzione e, mantenendo la mente attiva e direzionata, preclude distrazioni, deviazioni e sbandamenti. Il pensiero-seme conduce la mente dritta alla meta, ed inoltre, predispone l’Anima alla risposta in base al concetto espresso. Mediante il pensiero-seme il meditante incomincia ad attrarre tutti quei pensieri e concetti che gli sono attinenti e così crea una rete neurale di collegamento; una sorta di matrice pronta ad accogliere e portare in gestazione il seme: una nuova creatura che è l’embrione di una forma psichica superiore attinta, via via, dal serbatoio dell’infinito. La matrice così ottenuta tesse fili sempre più stretti e trame sempre più profonde tra la mente concreta e razionale e il Superconscio, fino a rivelare la verità celata oltre i confini del conosciuto. È possibile, in questo modo, utilizzare il pensiero-seme per chiedere all’Anima di illuminarci sulla risoluzione di una problematica; oppure di dare una risposta chiarificatrice e infondere speranza. A volte il pensiero-seme serve per indagare nel mistero e accendere una fiammella su un aspetto ancora sconosciuto del nostro esistere. La funzione principale del pensiero-seme è, tuttavia, quella di contattare nei reami dell’Anima frammenti del Piano divino e, illuminandoli di quella Luce, coglierli come frutti maturi e, quindi, dispensarli sulla Terra per migliorare le relazioni umane e rendere il nostro pianeta il paradiso vivente che dovrà diventare secondo il proprio destino.
Da tutto ciò appare evidente l’importanza del pensiero-seme che meglio di ogni altro strumento consente al meditante occidentale di concentrare l’attenzione della mente razionale e consentire, attraverso un processo graduale, il collegamento tra la mente analitica e quella astratta o mente animica; quella mente superiore che contempla la verità in diretta presenza delle idee archetipiche. Il pensiero-seme funge da elemento evocatore ed anche mediatore del Progetto divino così da far diventare la meditazione opera ed arte di mediazione e costruzione di nuove forme; strumento essenziale di realizzazione del Divino in forma umana per rendere tutte le forme manifeste sempre più rispondenti alle necessità evolutive e alla perfezione originaria.