di Edoardo Conte
Nel percorso di cura e guarigione delle proprie ferite interiori è importante fare esperienza del metodo e dei processi liberatori e salvifici. Dobbiamo, tuttavia, chiarirci chi fa esperienza e come.
Esistono due modalità di esperire: la prima è passiva; mentre la seconda è attiva. L’esperienza passiva non è una vera esperienza, in quanto chi sperimenta il processo è la persona in uno o più dei propri corpi. Ciò che avviene durante la sperimentazione è una memorizzazione momentanea della forma sperimentata, molto simile alla “memoria a breve termine” o memoria di superficie. Tale memoria riguarda i corpi personali e soprattutto il corpo emotivo che è composto da una sostanza magnetica, e dunque, preposta a memorizzare. Ciò non di meno, quando la sperimentazione è fatta dai corpi della personalità senza la guida della coscienza, tale sperimentazione non conduce all’esperienza intesa come tale; bensì, ad una sorta di esperienza minore o passiva che non comporta il cambiamento stabile da uno stato inferiore ad un altro superiore.
Chi fa l’esperienza attiva è la Coscienza e solo essa, nel momento in cui si attiva e dirige la sperimentazione entro i propri corpi sollecitandoli a compiere un cambiamento necessario a procedere sul cammino evolutivo. Il processo di sperimentazione che, in realtà, è il percorso educativo della personalità, è consolidato se è la coscienza a dirigerlo. Ciò si traduce nel fare: “Esperienza diretta”.
L’esperienza è diretta, ossia, impressa stabilmente, poiché la coscienza la dirige. Ogni altro tipo di sperimentazione fatta dalla coscienza in modo indiretto, cioè passivo, non produce esperienza. Traducendo in pratica questo assunto, significa che qualsiasi sperimentazione condotta mediante una procedura o tecnica in cui la coscienza sia guidata esternamente, cioè subisca quella procedura, non sarà assimilata dalla coscienza come esperienza anche se protratta nel tempo. Ciò vale anche per i metodi di cura e guarigione. Affidarsi a un guaritore, anche il più bravo, non produrrà una vera guarigione, poiché la guarigione appartiene alla coscienza dell’individuo e non a fattori esterni! Il guaritore potrà curare, ossia, lenire il dolore e ridurre o farne scomparire l’effetto per un certo tempo; ma la causa della sofferenza ricomparirà sotto altra forma.
Facciamo un esempio.
Poniamo di seguire un corso di Hata Yoga. Il nostro corpo fisico memorizzerà le nuove posture o Asana; il corpo emotivo sentirà le emozioni che scaturiranno durante l’esercizio e il corpo mentale formerà i pensieri collegati. La memoria delle posture rimarrà nei corpi della personalità fin tanto che si protrarranno le sedute di Yoga e l’organismo ne trarrà beneficio per lo stesso periodo di tempo; ma se si interromperà la disciplina, i corpi personali dimenticheranno, via via, le posture e il conseguente beneficio. Ciò accade poiché la coscienza non ha diretto la procedura; ossia, non ha partecipato al processo creativo come fautrice, bensì, come mera esecutrice. La distinzione è sottile, poiché riguarda la differenza tra l’essere causa oppure essere effetto.
Se riflettiamo davvero sul significato di essere causa, scopriremo che comporta il prendersi la responsabilità di dirigere la materia, cioè, le forme, facendo loro assumere una particolare attività. Da questo concetto desumiamo che facciamo esperienza solo attraverso ciò che, in un certo qual modo, insegniamo. Che cos’è l’insegnamento se non l’arte di trasmettere qualche cosa agli altri per impararla, cioè memorizzarla, definitivamente in noi stessi? Voler insegnare qualcosa, significa, dopo tutto, volerla imparare. Quando insegniamo, ci chiariamo, via via, l’insegnamento, poiché abbiamo la possibilità di vederlo riflesso negli altri. Noi riceviamo quel riflesso e lo confrontiamo, man mano, con la fonte originale, e così adeguiamo la nostra forma affinché si avvicini sempre più al modello perfetto.
Ritornando all’esempio del corso di Hata Yoga; ne faremo esperienza, anche smettendo di seguirlo, solo quando ci porremo nella posizione di istruttori di noi stessi. Divenuti consapevoli di ogni significato relativo a ciascuna postura, quel significato sarà memorizzato nella nostra memoria perenne e diventerà un punto stabile su cui costruire il futuro. Le nostre esperienze sono tali poiché scolpiscono entro la coscienza significati unici e irripetibili. Una volta acquisiti, non si avrà più la necessità karmico-evolutiva di doverli esperire di nuovo. Faranno parte del nostro bagaglio evolutivo e ci consentiranno di ottenere nuove e più alte realizzazioni.
Appare evidente che fare un’esperienza diretta sia, alla fine, acquisire un nuovo significato che amplierà il nostro orizzonte e ci permetterà di guardare la realtà da un nuovo punto di vista. Il segreto del procedimento creativo sta, in definitiva, nella corretta collocazione della coscienza che è il pensatore. Occorre innanzitutto sapere che noi siamo Anime incarnate in corpi, quindi, siamo coscienze che possono agire solo entro la materia e le sue forme plasmandole e riplasmandole per ottenere uno specifico effetto. Quali coscienze mediatrici tra Spirito/Causa e materia/effetto, possiamo trasformare il mondo imprimendo significati diversi alle nostre azioni.
Imparare a cambiare i significati ci cambierà letteralmente la vita in meglio!
Il metodo di trasmutazione ArchetHealing che utilizza i modelli archetipici di perfezione è pensato proprio per questo scopo!
Dare alla coscienza dell’individuo la responsabilità di dirigere e attuare la propria guarigione in prima persona, acquisendo la procedura di trasformazione in modo attivo. Nessun intermediario agisce al posto della coscienza individuale. Il facilitatore-istruttore ha soltanto la funzione di impratichire la coscienza dell’allievo alla nuova procedura. Sarà la coscienza a trovare nuove immagini da sostituire nel proprio immaginario a quelle divenute obsolete poiché riguardanti vecchie tendenze innate. Tendenze negative a cui vorrà cambiare significato e così rinnovarle in opportunità di crescita.